Nella introduzione alla storia della Carnia, ripubblicata da Biblioteca dell’Immagine l’anno scorso, scrivo che:
“Nel mio racconto, la storia della Carnia si sviluppa avendo come asse
portante la strada per il Passo di Monte Croce Carnico. Ci sono momenti nei
quali il Passo diventa luogo di transito e di comunicazione tra il Centro
Europa e l’Adriatico, Coincidono con i momenti positivi di sviluppo economico,
sociale culturale della Carnia. Ci sono momenti nei quali vengono privilegiati
altri percorsi di collegamento come il Canal del Ferro. Il Passo perde allora
importanza e il territorio diventa un imbuto. L’economia ne risente, ne risente
quindi il modo di vivere di chi vi abita, ne risente l’atteggiamento culturale”
Se questa premessa è
vera, la frana che ha chiuso la strada per il passo la notte del primo dicembre
scorso è una frana che non blocca
soltanto una strada, ma rischia di travolgere e celebrare le esequie di una
Carnia già in crisi, per tanti altri motivi.
Da qui l’urgenza di trovare delle soluzioni
per quanto possibile risolutive, ma anche in tempi molto rapidi.
Tuttavia la soluzione non è semplice, come
dimostra la stessa storia di questa strada. E’ stata voluta dai Romani perché
costituiva il percorso più diretto e quindi più breve tra Aquileia e il Norico,
il Centro Europa. Le tre iscrizioni che ci sono rimaste, scolpite sulle rocce
del percorso, testimoniano che nei
quattro secoli di vita come strada romana, è stata soggetta a complessi lavori
di manutenzione, con modifiche del percorso per superare le rocce del Malpasso da
un lato (un nome che già dice tutto) o , dall’altro, per evitare le cadute
massi dal Pal Piccolo.
Comunque i Romani si
erano tenuti sul versante opposto al Pal Piccolo, è stato il Genio Militare,
nel primo dopoguerra, per individuare un percorso al riparo dai tiri
d’artiglieria nemica che ha avuto la
idea rischiosa di intaccare con i tornanti di una strada, le pareti del Pal Piccolo. La montagna è
diventata così “una bomba ad orologeria” come scrive Corrado Venturini il
geologo nato a Timau, che, per raggiunti limiti d’età, ha da poco lasciato all’Università di Bologna
la cattedra che era stata di Michele Gortani.
Per il giornale di
Timau “Asou Geats” ,senza mezzi termini., ha scritto che “ il fatto che non ci
siano state ancora vittime,configura l’evento come un monito lanciato dalla
montagna e dalle sue rocce. Un avvertimento per chi avesse intenzione in futuro
di insistere pervicacemente nel riattivare quel medesimo tragittto sperando,
ingenuamente, di rendere stabile il versante. Un versante lungo il quale
ulteriori numerosi ordigni a tempo attendono solo di concludere il proprio
conto alla rovescia”.
Aggiunge che “la
ragione di tale diffusa criticità va ricercata indietro nel tempo, a 360
milioni di anni fa”, e poi cerca di spiegare, con esempi apparentemente semplici
concetti tutt’altro che semplici, come si siano venute formando le montagne
della Carnia in questi milioni di anni, creando la bomba ad orologeria del Pal
Piccolo.
Lasciando a una prossima puntata il riassunto
delle sue spiegazioni, le conclusioni a cui arriva il geologo, credo
sconsiglino qualsiasi tecnico dal mettere la firma, su qualsivoglia progetto di
riattivazione e sistemazione dell’attuale percorso, individuato da Lequio a
fini militari e poi trasformato in strada
nazionale negli anni trenta del secolo scorso.dall’Anas di allora.
Del resto, lo stesso
ingegnere Carpenedo che come tecnico potrebbe essere chiamato a garantire con
la sua firma il futuro della strada, come scrittore nel suo pregevole lavoro di
ricerca storica intitolato “la strada di Monte Croce Carnico” pubblicato dal
Circolo Culturale Enfretors di Paluzza, senza mezzi termini, a proposito della
strada costruita dalla impresa Paladini scrive che “venne costruita una strada
molto bella nel posto sbagliato. In quel versante la caduta di massi, a volte
di grandi dimensioni, provenienti dalle bancate calcaree verticali e persino a
franappoggio che sovrastano la strada, è
inarrestabile.”
Se cosi è, messa da parte
l’idea di riprendere a crogiolarsi con la suggestione del traforo, una volta
accertato che gli austriaci non sono interessati, se proprio non sono contrari,
senza sprecare altro tempo, è necessario
riprendere in mano il percorso della strada romana, con le tecnologie oggi a
disposizione, avendo cura di lavorare in sintonia con la Soprintendeza
archeologica per mettere in luce e valorizzare i resti della strada romana,
evitando i conflitti inutili che ritardano la realizzazione della pista
ciclabile Amaro-Tolmezzo sulla ex ferrovia.
Si legge sulla stampa dell’esistenza
già di due proposte progettuali che interessano il versante della strada
romana: una la strada definitiva che dovrebbe sostituire quella attuale,
l’altra una pista forestale.
Non ho le competenze
tecniche per esprimersi al riguardo ma mi piace pensare che si dia da subito
l’avvio ai lavori per la strada forestale, propedeutica alla nazionale. Se
realizzata con i criteri imposti dalla UE e che si vedono applicati nelle
recenti strade agro-forestali, come quella che da Castel Valdaier porta a Stua
Ramaz. attiverebbe comunque un collegamento seppure provvisorio con la Carinzia,
e potrebbe essere utilizzata anche come strada di cantiere per la strada
principale.
Per i finanziamenti la
strada forestale potrebbe essere di competenza regionale e quindi
immediatamente cantierabile, mentre quella definitiva dovrebbe rifarsi a
finanziamenti nazionali, essendo indubbio il carattere di strada nazionale a
valenza internazionale che ha la strada per il passo di Monte Croce. Lo
spiegava già molto bene Giuseppe Marchi nell’esposto (che giustamente l’ing.
Carpenedo ha voluto riportare in forma anastatica in appendice al suo libro) quando,
all’inizio del secolo scorso, richiedeva un intervento dello Stato per riattivare
una strada, che dopo secoli di incuria era ridotta a poco più che un sentiero.
Alla fine con la
tecnica di due piccioni con una fava, avremo una bella strada sicura che si
connette al tratto che scende a Mauthen, già messo in sicurezza dagli austriaci,
e un pista ciclabile a grande valenza storico-paesaggistica perché potrebbe
riportare in luce e valorizzare altri resti della strada romana, oltre a quelli
esistenti.
Da un lato una strada
che riporta la Carnia al ruolo di ponte tra l’Europa e il mare, recuperando la
visione lungimirante dei Romani che ha favorito a suo tempo lo sviluppo di
Iulium carnicum. Dall’altro, un circuito ciclabile di valenza internazionale che
collega Tarvisio a Tolmezzo attraverso la valle della Gail, e unisce la valle
del But al Canal del Ferro valorizzando
ancor di più la ciclovia Alpe Adria.
Per una volta, mettendo assieme lungimiranza e urgenza. Binomio non facile da realizzare in politica! Ma non è detto che questa non sia la volta buona!...